Vite spezzate

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Titolo retorico, scontato, drammaticamente vero: morti a poco più di 20 anni, quelli con l’età segnata.

Un registro parrocchiale dei morti: nulla di più silenzioso.

Invece parla.

Dal ‘500  all’800 il liber defunctorum era più loquace, nella sintesi: qualche aggettivo accarezzava un morto bambino; un verbo faceva volare l’anima… Dall’800, formule fissate in registri a stampa. Ma il parroco diligente, spesso caratterizzava la persona, soprattutto se c’era un “alc”, qualcosa, che eccedeva la normalità, per quanto di normale ci potesse essere di una morte.

Latino impeccabile rivestiva perfino la modernità, con giri di parole che aderissero al contemporaneo. Per entrare nel cuore delle lettere, di fronte ci si deve mettere con mente e anima aperte, per quell’empatia che va oltre l’oggettività del documento.

Non faremo un’analisi quantitativa: il numero dice e non dice.

Dieci-quindici morti possono segnare dispiacere per tutti, anche i lontani dal dramma; uno – vicino – può essere tutto; dolore immenso.

Financo nella morte in guerra, ci poteva essere la normalità (una malattia, una ferita…), e lo straordinario.

I soldati morti venivano sepolti nel cimitero parrocchiale o in quello di Mellarolo-Merlana.

La gran parte di quelli segnati sul registro aveva iniziato l’eternità “in nosocomio Rubini”, nell’ospedale di Villa Rubini.

Non sempre la causa della morte è chiarissima.

Se uno vede accanto al nome la parola “suicida”, non occorrono commenti; questa è proprio in italiano e ricorre una colta; anche il “sibi mortem intulit” eloquentissimo è, come il “se ipsum occisit”.

Il “se ipsum vulneravit” – vuol dire che “si ferì da sé stesso” – chiaro non è.

Significa che la morte venne da ferita accidentale, o è la “pietas” del parroco don Giovanni Valerio che vuol tacere un tentativo di autolesionismo finito male?

Non è forzare le parole l’intendere che il pievano provava sentimenti diversi di fronte a morti che divenivano seriali.

Difatti ecco due morti “asphisia gaz deleterio”.

Deve aver impressionato il parroco che le persone venissero private del respiro, tanto da causarne la morte… e col gas!

Così anche la morte accidentale di un bambino trivignanese di 10 anni (Pietro Celestino si chiamava, di nome), armeggiando con una bomba incendiaria che gli è “de manibus displosa”; il 29 marzo 1917.

Non capitava solo ai bambini; finisce così un soldato; che sia incidente è certo; il suicidio era stigmatizzato fortemente, anche se nei casi qui accaduti è solo segnato. Per temperare tale gravissimo atto, a volte, nei registri parrocchiali, di chi lo commetteva si faceva capire la straordinaria instabilità psichica con un “non erat compos sui”, non era padrone di se stesso!

I numeri sono troppo piccoli, per trarne indicazioni, ma siamo nel 1917; studi consolidati parlano di allentamento della disciplina nelle truppe; c’era crisi in questo terzo anno di guerra per l’Italia (quarto per la già confinante Austria-Ungheria).

Uno dei fatti gravissimi capita anche a Trivignano, anzi, a Clauiano: il 2 maggio, muore Antonio Bot.

Ha 28 anni; è sottotenente, originario di un paese del Trevigiano; è stato ucciso dal soldato Porreca.

Tre maggio, Priamo Porreca muore. Causa, intuibile; decisione è immediata, come l’esecuzione: “auctoritate militari”, con decisione dell’autorità militare. E come? “Ictibus”, per i colpi esplosi “ignea ballista”, alla lettera “balestra di fuoco”; in pratica, un fucile. Fucilato immediatamente il Porreca; aveva 26 anni. Due morti; più che durante la guerra, o per la guerra, a causa della guerra!

E dire che parlavano la stessa lingua, erano della stessa nazionalità, erano vicini per età… Ora l’unica vicinanza che li unisce è la pietà di chi legge la loro storia, raccontata in poche parole, da una formula pressoché fissa e, se vogliamo la vicinanza grafica, a pagina 72 del “Liber mortuorum in paroecia Sancti Theodori Martiri de Trivignano ab anno 1919 ad 1928”; il Porreca al n. 18 di quell’anno e il Bot al n. 17, proprio finendo la pagina di destra; gli ultimi due, qui insieme come in una morte inspiegabile e assurda.

Quattro novembre 1917, siamo nei giorni immediatamente successivi a Caporetto, salutato a Chiopris col “ritornano i nostri” e a Trivignano esecrata con il pudico termine di “ripiegamento” o con un più realistico che suona “invasione”.

Nello stesso giorno e nella stessa maniera muoiono Johann Spiegelgraber e Antonio Kicak.

Causa della morte: trappola esplosiva; “pila ignea relicta a militibus Italiae in lecto displosa”, bomba lasciata nel letto dai soldati d’Italia; due, non può essere una dimenticanza…

La loro età non si conosce; del Kicak, probabilmente fornito di un paio d’accenti (dovrebbe essere stato un polacco), nulla si sa, neanche esplorando il latinissimo computer.

Per Johann Spiegelgraber, risultati immediati: c’è un sito che si occupa dei morti in guerra, con le parole di Teodoro Körner, poeta soldato (1791-1813) caduto per la libertà contro Napoleone: “O mio popolo, non dimenticare i tuoi cari morti e impreziosisci la nostra urna con la corona di frondosa quercia”.

C’è un bel monumento a Moosbrunn, un comune di poco più di 1000 ab. (accorpato alla capitale) nel distretto che comprende i dintorni di Vienna (Bassa Austria).

Soldato in statua; basamento e ali in marmo nero, con iscrizione centrale e lunghi elenchi di caduti: la scritta dice che ricorda i Moosbrunnesi caduti nelle grandi guerra e non più ritornati in patria, sepolti qua e là in terra straniera.

Una trentina di nomi per la prima guerra; più di un centinaio per la seconda, eppure, dopo la prima era risuonato ovunque il grido: “Mai più la guerra!”.

Non basta esecrare la guerra, si deve educare alla pace: via stretta, irta di ostacoli; unica speranza!

 

Ferruccio Tassin

 

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Ferruccio Tassin è originario di Visco (1944); studi a Gorizia; laurea a Bologna, ospite del College Internazionale “Villa S. Giacomo” del Card. Giacomo Lercaro. Socio fondatore (vicepresidente) dell’Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia, deputato della Deputazione di Storia Patria per il Friuli, socio della Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia, socio onorario del Memorial Kärnten Koroschka di Klagenfurt, membro del Direttivo della Società Filologica Friulana. Già direttore dell’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei di Gorizia, giornalista pubblicista, redattore di “Nuova Iniziativa Isontina”, membro del comitato di redazione della rivista “Alsa”. Autore di libri, saggi, articoli di storia sociale e religiosa. Premio “Merit furlan” (Rive d’Arcano, 2008); premio Cûr e Paîs, Romans d’Isonzo 2016).