Restituzioni teatrali, serata a Romans d’Isonzo

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ROMANS D’ISONZO – 01 ottobre 2017

Cinque foto della serata di restituzione a Romans d’Isonzo, con gli interpreti dello spettacolo “A occhi chiusi e non era solo orrore e spavento” diretto da Francesco Accomando.

Romans d’Isonzo fu occupato nei primi giorni dell’avanzata italiana. Nel paese, distante pochi chilometri dal monte San Michele teatro di cruenti combattimenti, furono allestiti diversi ospedali militari per il ricovero dei feriti.
Queste due foto fanno parte della mostra fotografica “OSPEDALI DELLA GRANDE GUERRA TRA ISONTINO E BASSA FRIULANA” curata da Daniel Zorzin (pubblicate per sua gentile concessione)

Una foto di trincea in Galizia (gentilmente concessa da Ivaldi Calligaris) è legata all’intervento di Marco Ivaldi al Forum del febbraio scorso a Romans d’Isonzo, che pubblichiamo a seguire:

 

Una storia
Nel primo pomeriggio di un autunno già inoltrato del 1916, il battaglione si incammina ordinatamente verso la prima linea del fronte per dare il cambio ad un altro reparto dello stesso reggimento, impegnato da giorni in duri scontri contro i russi. Alla sera, sui monti Carpazi fa già freddo e i soldati portano con sé qualche coperta da buttare sulle spalle durante la veglia notturna.
Protetti dai terrapieni riescono ad arrivare nelle trincee a ridosso del nemico. In queste lunghe e tortuose fosse, dopo quasi due anni di guerra, non riesci più a distinguere il volto di una persona dai sacchi di sabbia posizionati a protezione degli uomini. Il fango copre tutto e solamente dal bianco degli occhi, spalancati e fissi nel vuoto, noti delle figure che si muovono come fantasmi in quell’inferno. Sono sfiniti, ma ora si intravedono anche i denti di stentati sorrisi che sognano un breve ma meritato riposo nelle baracche delle retrovie.
Un soldato dà una pacca di incoraggiamento sulla spalla del compagno che sostituisce, lo sguardo dei due si incrocia e per un attimo rimangono immobili. “Agnul ?” esclama uno, “T..T..Tin!” risponde l’altro. I due si conoscono, si stringono e si abbracciano. Sono due fratelli, partiti due anni prima da Lubiana e Trieste, che si incontrano per la prima volta in quella lurida fossa galiziana.
Angelo chiede al fratello se ha notizie da casa e, con le lacrime agli occhi, lo informa della perdita della loro madre Elisabetta, deceduta a causa del colera nel campo di concentramento di Visco. Valentino invece, il più giovane dei due, racconta piangendo che aveva avuto notizia della recente morte per crepacuore del padre Domenico.
Il sole stava scomparendo oltre il bosco di betulle squarciato dai cannoni, le bianche cortecce spiccavano nitide nel fuoco del tramonto, mentre i due fratelli abbracciati piangevano nel fango. I due non potevano saperlo, ma quella era l’ultima volta che si sarebbero incontrati. Più tardi, in quel settore del fronte, si scatenava un tremendo ed intenso attacco russo lungo una notte e l’intero giorno dopo. Le linee austroungariche risposero con diversi contrattacchi ma alla fine dovettero soccombere e ripiegare.
Da allora di Valentino non si seppe più nulla.
Il ricordo di quel breve incontro non abbandonò mai Angelo.
Nell’inverno dello stesso anno, a causa dell’intenso freddo e gelo, gli rimase congelato il naso e finì ricoverato, dapprima in un ospedale da campo in Moravia, in seguito iniziò per lui un lungo calvario negli ospedali dell’Impero: da Vienna a Regensburg, da Sarajevo a Budapest, per rientrare a casa nell’ottobre del ‘19, ritrovandovi l’altro fratello Giorgio, già rientrato dalla prigionia russa e la giovane sorella Irene, che nel frattempo portava in braccio una bambina nata da un suo breve amore con un bersagliere alloggiato nel fienile di casa.
Storie vere, storie tragiche, storie vissute purtroppo da tante famiglie dei nostri paesi, le quali persero i loro cari in questa immane Prima catastrofe mondiale.
Le loro storie ed il loro dolore, tuttavia, furono vissute dignitosamente, seppur soltanto tra le mura domestiche. Le loro giovani vite finirono sradicate da una terra che per tanto tempo li ha completamente dimenticati. La “nuova patria” ha fatto cadere nell’oblio anche questa parte di storia, non ci fu mai un segno pubblico a ricordo di questi nostri poveri paesani.
Anche e soprattutto questa, però, è la nostra storia!